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21 dicembre 2013 Iturbe e Iruya

Stazione di Iturbe.
Ieri siamo saliti fino agli estremi della Quebrada di Humahuaca, a quota 3700, dove a un certo punto si imbocca una strada sterrata che conduce a Iruya, che si trova a settanta chilometri al fondo della sua immensa valle. Dalla strada principale, a circa sette chilometri c'è Iturbe a quota 3300. Siamo venuti qui a cercare alcune persone e anche perché questo posto è diventato per noi un po' il simbolo di questo momento del viaggio. Iturbe è nato dal nulla attorno al 1950 dopo la costruzione della ferrovia a scartamento ridotto. Questa linea, costruita dai britannici, con le loro tecnologie, era stata voluta per il trasporto merci che, dalla Bolivia e da queste valli raggiungevano Salta e poi Buenos Aires per essere esportate. La stazione di Iturbe quindi era diventata un punto strategico in cui venivano raccolte le produzioni della vallata di Iruya, che ci hanno detto è immensa. In pochissimo tempo Iturbe è diventato un paese di più di 800 abitanti - che per essere a queste altezze è notevole - e la ferrovia era l'unico collegamento affidabile e ragionevolmente rapido tra la valle di Iruya e il resto dell'Argentina: per il resto erano mulattiere e carraie. Al servizio merci si è affiancato subito quello passeggeri. La comunità che si è formata è diventata un punto di riferimento nel raggio di tre giorni di cammino - o mezza giornata di fuoristrada in tempi più recenti - creando un'identità sociale importante.  La linea ferroviaria è stata interrotta, sia per le merci che per le persone, negli anni '80 e tutto sembra essere rimasto come allora, con l'unico particolare che oggi sembra un paese fantasma. Arriviamo a Iturbe verso le cinque di pomeriggio e decidiamo di proseguire per Iruya, in primo luogo perché volevamo avere il senso della vallata e soprattutto perché non ci sono foresterie a Iturbe. Il viaggio è di sessanta chilometri di strada sterrata che percorre vallate con strapiombi di mille metri e tornanti nel vuoto che percorsi su bus vecchi Mercedes degli anni '50 sono un'esperienza che difficilmente si dimentica. La vallata è immensa, fatta di altipiani che arrivano ai 4000 metri, molti di questi coltivati o adibiti ad allevamenti da comunità aborigene.

Altopiano nella valle di Iruya a quota 3950 metri.

Coltivazioni e case aborigenei nella valle di Iruya a quota 3500.

Iruya è raccolta su un cocuzzolo a 2700 metri d'altezza e qui finisce la strada, da lontano sembra un villaggio scolpito nella roccia ma ci si rende conto che è fatto di mattoni di fango e paglia all'usanza andina ed è il punto di riferimento dei villaggi che si raggiungono a dorso di mulo. Sulla piazza c'è tutti i giorni un mercato in cui si trovano le cose più particolari, dalle pelli di lama essiccate alla ferramenta ai cibi cotti agli unguenti magici. Diciamo che è molto colorito. Le pareti di roccia che si alzano verticali per sparire tra le nubi danno un senso di chiusura forte, diametralmente opposto a quello che si respira nella Quebrada di Humahuaca. Questa chiusura geologica si manifesta, a primo impatto, nel carattere delle persone che comunque quando decidono di aprirsi sono amabili. Passiamo la notte a Iruya per poi partire questa mattina.

Mercato di Iruya

Arriviamo a Iturbe a metà mattinata con il desiderio di incontrare il maestro Miguel Peñalosa e un altro paio di persone ma ci rendiamo subito conto che le possibilità sono scarsissime. Infatti lui assieme a gran parte della popolazione ha lasciato il paese. Ciò che rimane è una stazione di posta per i bus dove c'era la stazione dei treni. Quelli che un tempo erano negozi, "cocinerie" e alloggi, oggi ne sono vestigia.

Ancora gente ci abita ma l'aspetto è a tutti gli effetti quello di un paese fantasma ma nonostante tutto ci hanno detto che continua a esistere una piccola scuola rurale e resiste l'intenzione di far sopravvivere la comunità.

Abbiamo fatto delle foto di quello che resta di stazione e binari e ci siamo fermati a mangiare una cosa improvvisata (ottima) all'unico bar della stazione dove una quantità di bambini giocava davanti e dietro il bancone con i Simpson in spagnolo a tutto volume che riempivano il locale da una tv appoggiata sul frigo. La situazione era surreale ma caso vuole che parlando com Serafin, il padrone, ci dice che lui è il figlio di una cantora di Coplas. La coplas è una sorta di sfida in rima tra poeti cantori della montagna, e l'11 gennaio, come da tradizione la grande riunione è a Purmamarca. Inizia così un'altro percorso di ricerca all'interno del viaggio.
Umberto Giovannini e Luca Ronga

p.s. Questa foto è un omaggio a Walter, un ragazzo che affronta in auto la carrabile impervia da Iruya alla strada asfaltata diverse volte al giorno.

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