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8-9-10 gennaio 2014 Ocumazo

Ocu-mazo nella lingua aborigena della regione di Humahuaca e della sua quebrada significa luogo (mazo) nascosto (ocu). Tale è. In un'ora di jeep per una strada che spesso è portata via dai corsi d'acqua che si formano nella stagione delle piogge, si scende in una vallata immensa. Qui, nel punto più basso, a quota 3000, si snoda lungo il fiume il villaggio di Ocumazo. Il letto del fiume, largo centinaia di metri è una distesa sterminata di ciottoli e massi dei sette colori della quebrada e quando madre natura (Pacha-mama) protegge la vallata, tutta l'acqua che scende è poco più di un torrente che corre rapido al suo centro. Questo è più che sufficiente a rendere lussureggiante la vegetazione nei campi ai lati del fiume. Quando invece dai monti attorno scende forte la pioggia, il letto del fiume si trasforma in una massa d'acqua impressionante che corre a valle e si porta via tutto ciò che trova davanti. Lo scenario che si presenta è di una bellezza tale che a persone come noi che ci arrivano per la prima volta toglie il fiato ma, di controparte, le condizioni estreme per chi ci vive lo hanno fatto lentamente spopolare. Ora le venti fattorie che si snodano per quasi quattro chilometri alle sponde del fiume sono abitate da poco meno di cinquanta persone, per lo più anziane, che coltivano mais, patate, fava e alcuni ortaggi che possono crescere a queste altitudini. Qui Raúl Choquevilca, con cui abbiamo preso il contatto, cerca di far rivivere il posto; è una persona solare con un entusiasmo che travolge. Lavora come giornalista al "Pregón", il quotidiano di Jujuy, ma in realtà dedica le migliori energie al villaggio. Non sempre è facile. Ci racconta che spesso il lavoro più difficile è proprio coinvolgere le persone alla costruzione comune, che tanto più in un posto del genere significa la sopravvivenza. L'organizzazione di Raúl (la Red Puna www.redpuna.jimdo.com), tenta di portare qualche turista interessato all'esperienza di un turismo rurale e sostengono la lotta sociale per i diritti degli aborigeni. La maggior parte degli abitanti di Ocumazo ufficialmente non risulta essere proprietario delle proprie terre e della casa, provenendo da una cultura orale che è andata avanti per secoli con una sorta di uso capione delle proprietà. Ciò per cui si battono Raúl e compagni, è il diritto di proprietà, per non permettere che succeda l'esproprio terriero già avvenuto in posti meravigliosi come questo in favore di speculatori turistici che, attraverso meccanismi di corruzione nei vari ingranaggi amministrativi, sono stati capaci di appropriarsi letteralmente di intere vallate per cifre ridicole e mettere fuori, in tempi brevissimi, i legittimi proprietari. Raúl ha organizzato tre giorni per la comunità, data la necessità di costruire delle palizzate per difendere una parte della strada dalle alluvioni prima della stagione delle piogge. Quello che tenta Raúl è un processo di alfabetizzazione in comunità che sono ferme da secoli; l'introduzione di qualche mezzo di trasporto più veloce del mulo, come le jeep, per portare i prodotti al mercato, pare non abbia cambiato le loro abitudini e attitudini. Quindi il fatto che avvengano dei disastri legati al fiume è molto più legato ai ritmi di Pachamama e non pare contemplata la possibilità di prevenire, per quanto possibile, i danni. Per questi tre giorni aveva organizzato un camion da Humahuaca per trasportare dei tronchi con un operaio del comune, un gruppo di ragazzi dell'associazione sudamericana "Subiendo al Sur" che collaborano con le comunità rurali, riunioni con la comunità, di Ocumazo per sensibilizzarla, il tam tam attraverso le radio per richiamare gli ocumazegni alla giornata e noi che avremmo aiutato materialmente nel progetto e avuto uno scambio culturale con la comunità.
Raúl ci aveva avvertito che il lavoro di coinvolgimento è complesso. Seppure lui sia il punto di riferimento della comunità, la mattina oltre a noi s'è presentata solo una persona di Ocumazo. Non eravamo stupiti ma sicuramente ci ha fatto riflettere su quanto sia possibile interagire con comunità così isolate. I ragazzi dell'associazione sono riusciti ad arrivare solo a sera. Tutto il giorno abbiamo caricato pietre: due camion. Il lavoro è andato avanti piacevolmente. L'obiettivo della costruzione dei grandi tripodi (chiamati "pata de gallo"), fatti con tronchi e riempiti di rami e grossi massi raccolti direttamente sul luogo, non è quello di bloccare il fiume, quanto quello di accompagnare e deviare il suo corso, affinché non danneggi l'unica strada che porta alla vallata.  Oggi abbiamo montato pali e costruito i tripodi con pietre e tutto il resto. La giornata è stata magnifica, abbiamo lavorato sodo in un ambiente che difficilmente dimenticheremo ma delle persone del luogo non si è visto praticamente nessuno.
 

Ilaria Costanzo, Antonella Cuzzocrea, Umberto Giovannini e Luca Ronga

 


Raúl Choquevilca

 

Dal diario xilografico di Umberto Giovannini

F#1-20-2014 Ocumazo

 

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